"Este come era "
un viaggio nel tempo, nella tradizione, in noi stessi
Il torrione del castello
Lo svagato turista che arriva quasi per sbaglio nelle nostre contrade di provincia tagliate fuori dalle grandi direttrici del traffico internazionale, ha un punto obbligato dl sosta davanti alle vecchie mura del castello. Aguzzando lo sguardo al di sopra del volante della grossa cilindrata, ha intravvisto già di lontano le torri merlate che si arrampicano su quest'ultima propaggine degli Euganei e, giuntovi sotto, quasi si meraviglia del tono dimesso del prospetto Impoverito da un vecchio glicine troppo carico di fronte e da alcune casupole, indegnamente incastrate In quella cortina. Non un segnale, non un cartello per questo angolo tra I più caratteristici della nostra terra. Dall'ingresso, l'occhio corre dritto al mastio isolato, svettante nel cielo chiaro, alla cinta merlata che incorona le masse degli alberi, ai ripiani che tagliano l'asprezza del salire, ai viali, ai fiori che ridono tra il verde. La macchina fotografica del biondo turista scatta dall'astuccio per inquadrare la sua bionda compagna su questo cancello che racchiude alle spalle tanti secoli di storia. E' di prammatica. L'interno si spalanca su un lembo quieto, dove ogni frastuono di macchine muore per lasciare il posto al silenzio e al meditabondo vagare di chi viene a cercare sulle panchine, all'ombra dei tigli, un'ora di riposo. Una prosperosa Cerere, un Mercurio dal caduceo mutilato, un Ercole poggiato su una dava mozza e alcuni satiri dalle zampe caprine troneggiano sui loro piedestalli e olimpicamente sorridono ai bambini che sfuggono compiaciuti alle ricerche materne o alle saltuarie corsette delle balie qualche volta distratte. Dalla parte di tramontana la pietra ha acquistato una patina verdastra che fa molto settecento e dona tanto ai freschi sorrisi che si fanno cogliere dagli obiettivi fotografici accanto a queste divinità di altri tempi. E' dolce sostare qui, più che salire per i vialetti nascosti fra gli arbusti fino alla anemica vasca dei pesci rossi o più su, fino agli spiazzi aperti sul panorama della città. Se la fretta non sospinge il turista a rivarcare il cancello, arriva quasi sempre lassù per cercare le vestigia di una grandezza passata. Una fanciulla con la mente riempita dalle truci descrizioni di crudeltà medioevali chiedeva dl vedere la stanza delle torture e ci rimase male quando si accorse che della vecchia fortezza non resistevano che mura sbrindellate e torrioni mozzati Il turista cerca il brivido, ma la pace del parco non vuole essere turbata neppure dai ricordi di antiche crudeltà. Le fronde stormiscono, i bimbetti dell'asilo uniscono il loro cinguettio al canto dei passeri, le enormi sofore maturano ombra per i vecchi pensionati, per le servette con le carrozzelle e per gli intraprendenti studentelli che hanno marinato la scuola. Il giardino e un'oasi nella bella stagione, è il regno dello squallore durante l'inverno.
Il passeggio
Allora gli storni e i merli si precipitano a battaglia con le bacche dell'edera e delle sofore e riempiono di strida questo angolo lontano dalle canne degli avidi cacciatori. Sulle torri le vecchie travature finiscono di marcire alla pioggia e al gelo, mentre i macigni si ricoprono di muschio: è il loro destino. Il buon Nuvolato nella sua ti Storia di Este lasciò scritto: "...è bella cosa vedere tuttora que' grandiosi monumenti sfidare il tempo distruggitore, ed attestare ai posteri il valore dei nostri progenitori. A noi talvolta già pare di vederli ancora su quelle torri, su quei merli difendere la minacciata patria, e spesso cadere sotto di quelle, onorande vittime di valore e di gloria." E forse questo vede il biondo turista che capita dai paesi del nord nelle nostre contrade alla ricerca di emozioni che non sempre queste pietre morte e annerite dal tempo gli sanno dare. Ma c'è anche chi si accontenta di molto meno, chi si diletta alla vista di una stradicciola che sale verso l'alto e chi gode non di quella che fu una fortezza del tempo antico, ma di quello che può dare un parco pubblico nei giorni di festa. Sono i turisti paesani, i giovanotti che arrivano dalla piatta pianura sulle rombanti motociclette nelle domeniche di sole. A volte un abito dai pantaloni che arrivano sopra le caviglie o dalle maniche che mettono in mostra tutti i polsi della camicia bianca denota una crescita avvenuta troppo in fretta e che la borsa paterna non ha potuto seguire con altrettanta velocità. Ma l'abbigliamento non ha eccessiva importanza quando nel cuore canta la giovinezza e agli occhi sorridono tante vesti variopinte o gonne svolazzanti. Perchè i giardini sono nel pomeriggio delle domeniche il regno della giovinezza "che mira ed è mirata e in cor s'allegra". I giovani si fanno audaci: allungano gli occhi, fischiettano con calore nascondendo il volto dietro le spalle compiacenti degli amici, o rompono in risate più di richiamo che di convinzione ad una qualche battuta che il solito allegrone della compagnia ha sfoderato dal suo vecchio repertorio. I più intraprendenti abbozzano qualche ìnseguimento che il più delle volte si tramuta in ritirata da cane bastonato, per cui la brigata in prudente attesa, fumando le prime sigarette, scoppia in frizzi e grida all'indirizzo dello sfortunato. Ne avranno da discorrere poi per tutta la settimana. Ma se il tempo è propizio, può capitare anche che gli assalti sortiscano una parvenza di vittoria. " Ci sta! " sussurra ammirata la combriccola inchiodata sulla panchina di pietra e l'ammirazione si tramuta in invidia per colui che è riuscito ad intavolare una stentata conversazione che muore ad ogni battuta. Non sanno i poverini la fatica di trarre dalle banalità del tempo, dalle giostre fuori delle mura argomenti adatti a vivificare un discorso che ha un solo movente da nascondere ben bene perchè non traspaia da incaute espressioni.
La porta della Giassara
Il passeggio