"Este come era "
un viaggio nel tempo, nella tradizione, in noi stessi
Accesso dal sagrato
L'oratorio del Santo, costruito sopra la sacrestia del Duomo, scompare quasi all'ombra della torre campanaria, e se non fosse perché chiude ad occidente il piazzale della chiesa, si perderebbe tra il groviglio di absidi e contrafforti che compongono l'insigne edificio. Narrano le antiche istorie di petizioni di confraternite e concessioni ecclesiastiche intorno al 1627, parlano di difficoltà finanziarie e di beghe intestine, raccontano di atterramenti e di restauri. Il tutto testimonia la fede dei nostri padri, la religiosità convinta di generazioni che lasciarono in canti e statue, in dipinti e costruzioni l'impronta dei loro sentimenti più profondi. Nella chiesuola immersa in una discreta oscurità, dal piede delle tele annerite ti guardano i fratelli della "Veneranda Schola della Morte et Oratione ". Le ingenue raffigurazioni di episodi della Passione, fino all'orrido Giudizio Universale, popolano le pareti di ombre austere che ne fanno ora un luogo deserto per buona parte dell'anno. Al centro della parete di fondo si erge l'altare di legno bianco, modesto, incoronato da tre statue barocche di legno dello stesso colore. Sotto la mensa riposano da tre secoli le ossa del Martire Valentino. Capitarono da noi in una splendida domenica di maggio del 1671, accompagnate dal Cardinale S. Gregorio Barbarigo e da allora non hanno più mutato sede. Quelle reliquie furono levate dalle catacombe romane e donate alla fiorente confraternita di Este che ne fece oggetto di devozione, celebrando in forma solenne la festa del Santo al 14 febbraio.
Facciata del duomo
Attraverso tre secoli la ricorrenza ha conservato nella nostra città un tono di sagra paesana, senza sprechi nè lussi, un avvenimento composto, una festa da mezza giornata. La data ha da tempo offerto alla vena poetica popolare rime e assonanze per proverbi stagionali: "Per S. Valentin el giasso non tien gnanca un gardellin" - "Da S. Valentin la nebbia non dura più di un dì'". E in questo diligente esame dello spessore del ghiaccio, in questa rilevata fuga della nebbia invernale scopri l'ansia di chi, alla metà di febbraio, va già in cerca della primavera. Sulla pianura il gennaio ha spalmato un algore biancastro, stagnante sui fossi, lungo i filari, all'ombra continua delle case e il velo s'è confuso col grigio fluttuare dei mille camini della città. Ora è giunto il momento di scuotersi dal lungo sonno, di uscire dal chiuso artificiale per scrutare se tra l'erba accasciata dal gelo non compaia il primo filo nuovo, se tra gli arbusti delle siepi non inturgidiscano le gemme. La via dell'inverno è lunga ancora, ma diventa leggero il passo quando, intorno, da mille piccoli niente t'accorgi che la fine è prossima. S. Valentino è uno di questi piccoli niente che dà un'ala nuova alla nostra speranza. Attorno al sagrato, fin dalle prime ore del mattino, le bancarelle innalzano i loro teloni biancastri; una tenda stesa dalla parte di tramontana dà ai venditori l'illusione di un riparo: il vento che scivola dalla Pineta è ancora una vampata di gelo sui volti e sulle selci del piazzale.
I più fortunati si distendono lungo via Cavour protetta o sotto i portici ospitali. La merce esposta in gran copia oggi sono le arance, arance dal meraviglioso colore della terra del sole, arance rossastre, mandarini profumati, a cesti, a mucchi, a montagnole. "Sangue, sangue!" tuona l'intraprendente rivenditore, squarciando con un taglio netto i rotondi tarocchi; e le boccucce dei bambini ingurgitano saliva e le piccole mani fremono tra le mani materne. La primavera si allea con S. Valentino per giocare tiri birboni alle borse dei genitori; ma tant'è! S. Valentino è la sagra delle arance. Dentro ai mastelli galleggia, poi, la fava lupina: un frutto un po' complicato per via di quel pizzico di sale con cui bisogna condirlo e di quella buccia che sguscia, sì, sotto i denti, ma che bisogna pur levare. I giovanotti cacciano in bocca un grano dopo l'altro, interrompendo l'operazione per l'espulsione non sempre educata del superfluo; le donzelle piluccano gli acini uno alla volta stringendo delicatamente i denti per mangiare il frutto, senza avvicinare le labbra: il trucco non ammette volgari contaminazioni. Nè manca il "tira-mola" classico, presente in ogni sagra invernale. Una volta l'intruglio a base di melassa conservava il suo colore naturale bruno; dopo la cottura passava sulla lastra di marmo per un primo raffreddamento e tra le mani del pasticcere in grembiule bianco assumeva un tono quasi dorato. Ora le diavolerie della chimica moderna lo fanno diventare candido, rosa, iridescente come l'arcobaleno per solleticare con maggior forza la golosità.
Timpano dell'oratorio
Attorno alla bancarella c'è sempre una nutrita schiera di bimbi che tendono il soldino per i dieci centimetri di dolcezza; i giovincelli mimano le mosse dell'uomo che riaggancia la pasta in raffreddamento all'uncino della baracca e accennano allo sputo sulle palme aperte da smaliziati alchimisti di coserelle pei gonzi. Ci sono anche i tradizionali nonnulla di tutte le sagre: i cavallucci, i palloncini, altri frutti; ma non hanno il mordente giusto. Per oggi S. Valentino accontenta grandi e piccoli con le arance, i lupini e i fragili bastoncini del tiramola. Il Santo, invocato contro l'epilessia conosciuta dal popolino come il male di S. Valentino, convoglia dal suburbio verso l'oratorio mamme con i piccoli in braccio. Le ore del tardo mattino sono le più adatte per i bimbetti che in questo giorno marinano gli asili infantili. Passano attraverso il Duomo, lanciando appena un'occhiata agli altari e alle tele, infilano la scala del vestibolo e sostano impazienti tra i banchi della cappella, prima di passare davanti alla reliquia. Alla presenza delle Sacre Spoglie distolgono quasi sempre lo sguardo dal teschio e sollecitano la discesa perché sul sagrato li attende la promessa ricompensa alle fatiche del silenzio e della compostezza tenuti nella chiesa. Il pomeriggio resta per gli scolari impossibilitati dalle lezioni mattutine e sono altre ondate di fanciullezza che salgono e scendono dall'oratorio, che galoppano sul piazzale, che sostano irrequiete davanti ai banchi; S. Valentino sarebbe oggi tutto per loro. I grandi, col pretesto di assecondare le legittime inclinazioni puerili, abbassano qualche saracinesca, chiudono qualche ufficio; mentre i cinema cittadini programmano i supercolossali film western. Fra il Duomo e la piazza il traffico impensierisce i nostri vigili; fuori di quest'angolo impera la sonnolenta pace di un tranquillo meriggio di fine inverno.
Particolare