"Este come era "
un viaggio nel tempo, nella tradizione, in noi stessi
Piazza Maggiore
E' dolce il settembre sui nostri Colli, quando l'aria ci porta il profumo dell'ultimo fieno e soto I filari pendono invitanti i grappoli dell'uva moscata e garganega. L'estate prolunga il suo incanto, senza l'ardore del solleone e si diluisce in un tepore carezzevole che vorremmo eterno. Sui dossi esposti a mezzogiorno la vite ha maturato più veloce il suo frutto e i montanari solerti ne hanno tratto il primo vinello, ancora torbido, ma ricco di una vena di dolce che sedutce persine le giovani spose. Lungo i fossati della campagna, con i becchi immersi nell'acqua fangosa sono cresciute le grasse anitre che ora sulle aie ricolme ballonzolano in punta dei piedi, quasi presaghe della loro fine crudele. Sulle mense estensi non manca oggi il piatto della tradizione: il "masaro" pingue e il moscato nuovo. Di ritorno dalla Messa ultima, sui banchetti spuntati come funghi ad ogni occhio di portico, almeno una cartella della tombola è stata acquistata. Alla vincita non si è forse pensato, anche se il premio è sempre vistoso e allettante; ma la soddisfazione di avere contribuito in qualche modo alla benefica attività della "Pia Casa di Ricovero" appaga di per se stessa e fa trovare più saporito sul desco il pranzo tradizionale. Nel pomeriggio le "giostre" accanto alle mura del castello straziano l'aria di canzoni e clangori, entro cui si muovono come in un nirvana celeste i giovanotti e le ragazze calati a frotte dai dintorni. Le custodie di biciclette accumulano velocipedi in cataste impossibili; i caffè sciorinano tavoli variopinti fin sul cuore della piazza; le bettole più modeste allungano tavole nude e sedie di ogni foggia sull'orlo della strada.
Notturno Piazza Maggiore
E' l'ora in cui i fanciulli, portati alla tombola in città come premio di una bontà faticata per settimane intere, si sentono già stanchi della passeggiata ai giardini e in Castello e reclamano la cena. Le luci, il frastuono, li viavai incantano gli occhi; ma quanto esce dai cartocci di carta gialla ha li potere di incantare anche le piccole gole, specie se un doppio di bianco nuovo troneggia in mezzo alla tavola. Attorno ai banchetti delle cartelle si fa ora la coda. Il rivenditore attento ha pronti i pezzi confezionati e te li porge con un sorriso, anche se quei dieci numeri scritti da lui non ti ispirano alcuna fiducia. Quando poi giunge il pignolo che vuole a tutti i costi i numeri segnati sul pezzo di carta sgualcito che tira coscienziosamente fuori dalla tasca, la pazienza del bigliettaio è messa a dura prova. Sul grande quadro delle cifre mobili i ragazzi che hanno dimestichezza quotidiana con la piazza si divertono a voltare i numeri, incuranti dei richiami e delle minacce. Improvvisamente le note della banda si fanno largo sul brusio della folla. La sinfonia della " Gazza ladra " esce dai clarini saltellando in una cascata di trilli che rimbalzano contro la facciata del Municipio; gli ottoni accompagnano la fuga e incupiscono l'eco della melodia, mentre su tutto trionfano a tratti il rimbombo del grosso tamburo e lo strazio dei piatti di bronzo. E' una musica di altri tempi per un gioco popolare d'altri tempi. Ora la tribuna dell'estrazione si è riempita delle autorità e dei severi controllori; dal nero imbuto del banditore piove ai quattro canti la magica parola: " Silenzio! ". Riconosciamo la sua voce: è il vecchio Alessandro Bazan, sempre più curvo, sempre più sordo, ma sempre ugualmente potente col suo vocione di baritono da prima fila.
I leoni della bandiera
I filari di vite