La repubblica di S.Stefano
Una via modesta segue l'attaccatura del colle al piano, alcuni palazzi vi protendono la loro ombra, altre casette vi stanno raggomitolate intorno, qualche stradetta la congiunge ad altre vie spaziose o si arrampica sul monte: il territorio della repubblica è tutto qui. Ha la sua chiesetta con due campanelle argentine, qualche negozio impregnato di odori indefinibili delle spezie e dei surrogati, l'osteria dalla invitante insegna "vino al paradiso", qualche vecchia villa senza pretese e un'aria fina che rotola dalla pineta e dagli ulivi piantati sul costone sovrastante. Le case a monte allungano il cortiletto e l'orticello sul primo pendio, combattendo una lotta antica con l'acqua prepotente della stagione piovosa; le altre a valle mostrano la faccia annerita dal tempo e dalla tramontana, mentre lo scoperto, quasi sempre incassato rispetto al livello stradale, sotto la gelosa protezione di un muro ininterrotto ostenta al sole le quattro vigne e i magri alberelli di pere e di mele. La sua piazza è un largo di qualche decina di metri quadrati con molta ombra e poco traffico; ideale campo sportivo per la fanciullezza senza pretese. C'è anche la sua fontana; solo un rubinetto, un gancio per appendervi il secchio e una griglia di ferro sempre intasata che protegge lo scarico. Ai tempi dei tempi l'acqua fluiva dopo essere stata pompata con una grande maniglia in ferro e bisognava essere in due per potersi dissetare; uno si affannava ad altalenare la sbarra, l'altro attendeva con la bocca spalancata sotto 11 tubo di uscita. Quando il liquido erompeva tutto ad un tratto con un flotto esuberante, capitava sempre una bella lavata di faccia con inevitabile inzuppamento degli abiti. Il progresso e le finanze del Comune hanno tolto l'inconveniente; ora il rubinetto che disseta le famiglie prive dell'acquedotto domestico gocciola in continuità ernpiendo di armonia le ore silenziose della contrada. Dai tempi dei tempi quello è rimasto il "mato", nè l'avanzare del progresso è riuscito a mutarne la denominazione.
Tra i borghi della Este antica, accanto a Canevedo, S. Martino, Settabile, Restara, S. Pietro, il nostro S. Stefano conta una vetustà che risale alla preistoria. Sul suo territorio, infatti, vennero scoperte alcune fra le più caratteristiche necropoli degli Euganei, i cui reperti danno lustro al Museo Atestino. Ma non sono le situle, gli ossuari o i vasi fittili che ci hanno indotto a parlare del borgo; ci stanno a cuore i vivi: i molti che sono passati da questa contrada, gli altri che ancora vi rimangono ancorati alle falde del monte, nonostante la polvere della fabbrica e la corrente della evoluzione edilizia che sospinge le nuove costruzioni verso altri lidi. La ricchezza della repubblica di S. Stefano sono stati sempre i figli; a generazioni che prendono il volo fuori del nido per non far più ritorno, altre si avvicendano a perpetuare le marachelle, il chiasso, la vita del borgo. I più piccoli prendono dimestichezza con la strada ripulendo col fondo dei calzoncini tutte le soglie vicine alla loro casa; gli scolari si preparano alle battaglie della vita affrontando quotidianamente la salita del monte; i giovanottelli riempiono di allegria i pomeriggi e le sere svolazzando intorno alle finestre da cui trabocca il riso di qualche fanciulla. Cose semplici, che succedono in ogni contrada di questo mondo, ma che hanno qui un calore dì intimità una dolcezza antica e perenne. Quando le prime occhiate del sole marzolino si alzano sopra la bruma della pianura, i primi raggi arrivano perpendicolari sul costone protetto dal Palazzo del Principe. Le lucertole escono a stendersi sulle scaglie tiepide, le gemme punteggiano di verde tenero gli arbusti. Allora i ragazzi sentono il prepotente richiamo della primavera. Non è ancora finito il pranzo, consumato un po' tardi per via della scuola, che già con il pezzo di pane in bocca si ritrovano sulla stradetta che sale fra le siepi. Il gioco della stagione è il duello combattuto con le canne ritrovate nei cespugli, oltre la rete che ha sempre arcani passaggi nonostante il controllo dei proprietari.
Ci sono le stelle dei mandorli che invitano a portare nelle case il primo fiore e al piede dei rovi le prime viole che profumano l'aria. Quando poi le siepi, completamente ammantate di verde, fanno sognare misteriosi nascondigli da giungla domestica, il gioco dei ragazzi cambia. Li prende la mania ancestrale delle capanne che vengono costruite tra il più fitto della macchia. La caccia alle lucertole, la pesca delle farfalle riportano indietro di millenni il calendario per l'ultima progenie della stirpe euganea. Le prime pere acerbe confondono il loro verde con le foglie della pianta, ma non sempre riescono ad eludere l'occhio di falco dei golosi cercatovi. Non fanno certamente bene ad alcuno stomaco, però quell'asprigno che lasciano diluire nella bocca può giustificare in parte le incursioni della truppa nelle proprietà guardate da una robusta siepe di spini. L'altra parte di sapore è data dal rischio, dall'avventura, da quella tremarella che prende anche i più audaci quando, entrati furtivi attraverso qualche buco e agguantati i frutti verdognoli, ritornano col cuore in gola nell'ospitale capanna. L'estate passa in un sogno con tante scorribande e giochi consumati all'ombra delle robinie. Quante insidie ai fichi maturati tra le foglie larghe, alle brombe giallognole e ai primi acini della moscata. I contadini si difendono con il casottello di canne che inalbera una giacca a brandelli o un cappellaccio di paglia tinto di verderame. Lo spaventapasseri ha effetto sui merli, non sulla nostra banda. E poi all'ombra interminabili partite a briscola! Settembre profonde i suoi tesori ed ha caldi inviti per le mele e per quei "pometti lazzarini" che rosseggiano nei. boschetti attorno al Palazzo del Principe. Non si può resistere. L'autunno reca l'immancabile croce della scuola e allontana dal costone soleggiato gli alunni ai quali resta nel cuore la nostalgia per le scorribande e l'aria salutare del monte amico. Ma al pomeriggio si rianima e dalle tasche si trae l'arma segreta per i bersagli più impensati: la fionda. Tutte le severe perquisizioni del vigile Silvestrini non riuscivano a stanare dalle aule elementari che qualche fettuccia di camera d'aria, alcuni rettangolini di cuoio e qualche bastoncino ad ipsilon. Tutto il resto saltava fuori qui, davanti agli isolatori della corrente elettrica o davanti ai pettirossi e agli scriccioli che gemevano tra le siepi nude. Nell'inverno la piazzetta si anima per qualche ora al pomeriggio attorno ad una palla di gomma e la stradetta del monte ha le ultime visite per i falò della befana. La repubblica dei ragazzi ha avuto i suoi eroi e i suoi gregari; non muore, si rinnova ad ogni stagione a perpetuare il chiasso, le bricconate, la vita del borgo. Alcuni sono spinti dal bisogno a racimolare la legna secca che muore tra le siepi o nei boschetti di robinie. Un sacco sforacchiato, una accetta sdentata ed un focolare spento sono gli elementi che ci indicano come la repubblica di S. Stefano non sia il paradiso dei milionari. Ma l'industriosità non vi ha mai fatto difetto. Qualche fascina di frasche, qualche sacco di ceppi umidi è sceso, magari di corsa, giù dal monte più di qualche volta nelle invernate. Fino a che si chiude un occhio o si tollera il buco nella siepe vuol dire che la fraternità non è una parola vana.
La rinomanza della contrada resta, però, legata allo stuolo di fìgliole che sempre hanno allietato le case anche più modeste. Attorno a queste luci gironzolano i nativi del borgo che fin dalle prime "campanasse" hanno condiviso i giochi innocenti, da questo miele sono attratti i calabroni peregrini capitati nella via per caso. Nei pomeriggi di marzo, e talvolta anche prima quando il sole fa già primavera sul colle, sciamano le fanciulle verso i bucaneve del Palazzo del Principe. Le seguono i primi calzoni lunghi che qui conoscono ogni angolo e scodellano il loro sapere con un'aria di cavalleria e di gallismo, preludio di un mondo di sentimenti nuovi in una natura che invita alla gioia e all'amore. Molto spesso i mazzi di viole sono costituiti da semplici pervinche, ma la botanica non ha alcun valore di fronte a due occhi che si vogliono vedere felici. Il chiacchierio, gli strilli improvvisi, le mosse sbarazzine, le corsette esageratamente affannose, le vesti sgargianti animano le carreggiate, i cespugli nudi e i campetti in declivio. Nel silenzio di quest'angolo, ignorato dal traffico, ogni scoppio di risa desta un'eco raggiante che sale fino ai casolari perduti a mezza costa. Dalle rive, dai "calti", da ogni zolla la primavera timida e furtiva esce al richiamo del sole amico; nei teneri cuori sboccerà candido e inavvertito il primo amore: insieme fin dalle prime giornate di sole, perché primavera e amore sono la identica espressione della vita. Se maggio, promessa di sere tiepide, spinge fuori di casa, fino alla grotta di Ricovero per il fioretto mariano, le famiglie intere, la gioventù ha un ottimo pretesto per prolungare i momenti di confidenza e di cicaleccio. Per tutta l'estate saranno queste le ore più intense e più attese: sereno conversare di donne davanti alle soglie, interminabili partite a nascondino dei fanciulli, riposanti incontri di bocce "al paradiso ", appartati colloqui della gioventù che si cerca e si respinge si protende e si ritrae. La repubblica modula la sua esistenza sul ritmo delle cose semplici: la casa, gli affetti familiari, attorno alla torre dalle campanelle argentine, sul campiello largo quanto un fazzoletto, vicino al "mato" gocciolante pacifiche armonie, ai piedi della collina che invita a salire in alto. Il titolo le si confà per la forte individualità di tutto il complesso, per la gelosa conservazione delle tradizioni, per la compattezza dei vari nuclei: un simpatico borgo, una repubblica con l'erre minuscolo.